Tre mesi fa moriva a Forlì la missionaria Maria Teresa Battistini

La seconda anima
di Annalena Tonelli

articolo tratto da: l’Osservatore Romano

Non si può ricordare Annalena Tonelli, l’eroica forlivese «totalmente consacrata a Dio e ai poveri», come si definiva, uccisa a Borama, nell’area del Somaliland, nel 2003, senza richiamare Maria Teresa Battistini — morta proprio tre mesi fa a Forlì — sua compagna per alcuni anni in Kenya e in seguito infaticabile sostegno della dedizione di Annalena agli ultimi e sua testimone. Soprattutto custode della tutela del riserbo nei confronti dell’amica e sorella nello spirito, nel rispetto condiviso del desiderio di scomparire tra i più poveri della terra.

Maria Teresa Battistini, dopo la laurea in lettere insegna in una scuola di Forlì quando, a 25 anni, conosce Annalena Tonelli, di tre anni più giovane, studente di legge. Siamo nel 1965. Racconterà decenni dopo: «Sono gli anni attraversati dai grandi fermenti di rinnovamento nella Chiesa del concilio. Si avverte l’esigenza di un ritorno alla radicalità del Vangelo e di un forte impegno a favore dei poveri». Il clima di rinascita evangelica contagia le due giovani innamorate di Cristo e affascinate da testimoni come Charles de Foucauld, Raoul Follereau, l’abbé Pierre, Martin Luther King. Esse si lanciano al soccorso dei più poveri della loro città, collaborano alla costituzione del Comitato per la lotta contro la fame, si prodigano in mille iniziative a favore degli ultimi.

Annalena, dopo la laurea, parte per il Kenya (1969). Maria Teresa la segue un anno dopo. La meta è Wajir, villaggio nel deserto fra tribù di nomadi musulmani. «L’ideale che ci aveva infiammato il cuore — dirà la seconda — era predicare il Vangelo con la vita rimanendo fedeli a due assoluti, Dio e gli ultimi». Annalena riconosce: «Qui con Maria Teresa la vita si è trasformata». Lei cura i malati di tubercolosi, Maria Teresa i poliomelitici. Le sue lettere a qualche amica descrivono la cura a questi figli disabili, che segue uno a uno, mentre Annalena lotta contro la tubercolosi dei suoi. Si assiste a guarigioni, ricadute, morti, si è coinvolti nello sconforto per la dura battaglia contro la malattia e nella gioia per le vittorie, in un clima di speranza contagioso. Le due sorelle nello spirito alimentano la loro lotta quotidiana contro il dolore innocente con l’immersione in giornate di eremo nel pieno del deserto. Dall’affondare nella parola di Dio, nel mistero di Dio divenuto uomo nel Cristo attingono lo Spirito di fortezza che le sostiene. Nel 1975 saranno anche assalite e malmenate da una banda di ladri, ma la loro tenacia non demorde.

Se Annalena chiamerà Maria Teresa “la mia seconda anima”, Maria Teresa nella testimonianza che sarà indotta a dare di Annalena riconoscerà di aver vissuto con lei «quarant’anni di amicizia e di comunione profonda. Un’affinità elettiva divina che negli anni di fuoco della giovinezza mi ha portato a condividere con lei la prima esperienza africana in Kenya» (Maria Teresa Battistini, Annalena, una cristiana domani, Forlì, 2008).

Quando non può più seguire Annalena nel suo cammino in Africa, lo prosegue occupandosi di ogni sofferenza umana che incontra non solo nella sua Forlì. Riconoscerà anni dopo: «Mi furono sottratti quei poveri. Ma poi altri subentrarono nella terra d’esilio della mia patria; altri piccoli e grandi feriti dalla vita hanno continuato a dare amore, senso e pena ai miei giorni» (Luca Vitali, Ricordo di Maria Teresa Battistini, Cmd, Forlì, 2021).

È significativo che la città nei suoi massimi rappresentanti abbia elogiato «il valore morale e civile di Maria Teresa Battistini, il suo esempio di umanità e di impegno al servizio dei più deboli […] Fin da giovanissima, Maria Teresa Battistini ha caratterizzato il proprio impegno nella lotta contro le povertà e le forme di ingiustizia, seguendo il percorso aperto da Annalena Tonelli e prodigandosi, insieme a lei e anche dopo la sua tragica scomparsa, in forme concrete di servizio nel Comitato per la lotta contro la fame nel mondo, nei progetti internazionali e nel sostegno quotidiano al prossimo».

La convivenza in Kenya con Annalena, ma soprattutto la convivenza spirituale con l’amica e sorella, rafforzano in Maria Teresa uno straordinario percorso di carità. In due dimensioni: custodire al riparo da ogni enfatizzazione mediatica la testimonianza di Annalena, che per assimilazione ai suoi poveri aveva scelto «di essere nessuno […] rifiutando con determinazione interviste, servizi giornalistici, équipe televisive, qualunque operazione che avrebbe potuto darle visibilità»; questo non le impedirà però di curare con il fratello e la cognata di Annalena la pubblicazione delle sue lettere (Edb, Bologna, 2016-2019). E, seconda dimensione, vivere e suggerire di vivere la testimonianza di Annalena nella quotidianità a volte durissima alla quale le contingenze costringono.

Chi ha avvicinato Maria Teresa è stato testimone della sua illimitata magnanimità. Non solo nell’aiuto pratico a ogni bisognoso, ma in un ascolto discreto, mai stanco, a volte logorante, di storie dolorose, di sofferenze nascoste, di drammi domestici. Lo slancio, il calore, il sorriso di Maria Teresa sono stati aiuto per tanti, incoraggiamento nella buona battaglia di una fede di cui lei era testimone silenziosa, nel rispetto della non fede di tanti sofferenti, nell’accoglienza profonda di ogni fratello in umanità. Maria Teresa ricorda, nella sua testimonianza di Annalena, le parole di un medico somalo nel giorno del funerale: «Cose grandi ha fatto Annalena nella sua vita, ma cose più grandi saprà fare da oggi in poi». E soggiunge: «Mi sono sembrate parole profetiche, tanto più che ad averle pronunciate è stato un fedele musulmano, e io le ho interiorizzate come un ulteriore avvertimento […] a custodire e invitare gli altri a custodire nel cuore il seme della sua testimonianza, perché possiamo anche noi fiorire e far fiorire là dove siamo nella ferialità della nostra esistenza» (Maria Teresa Battistini, La speranza contro ogni speranza. “Io sono nessuno”. La testimonianza di Annalena). Anche il seme della generosità di Maria Teresa va custodito così. L’ardore magnifico prodigato da questa cristiana senza aggettivi ha una matrice di cui lei ha parlato pochissimo, ma che gli amici più intimi hanno intuito e custodito come la polla silenziosa da cui fluiva la sua incessante carità. Per una complessa e delicata situazione familiare Maria Teresa ha vissuto un’immensa solitudine affettiva fin dalla nascita. Né il padre medico, né la zia che la crebbe poterono sanare la piaga immensa che lacerava un cuore affamato di amore. Poche volte Maria Teresa ha richiamato la sua vita prima dell’incontro con Annalena: confidenze sconvolgenti che la stessa forte Annalena era indotta a colmare di silenziosa tenerezza.

Questa piaga mai guarita è stata la croce gloriosa, la pista di lancio di Maria Teresa verso ogni dolore umano. Esperta del soffrire fin da bimba non si è ripiegata sullo strazio di una sete inappagata: si è tuffata nell’amore incontrato in Gesù di Nazaret e l’ha prodigato a chi, come lei e più di lei, ne era privo.

Molte volte le grandi ferite del cuore, mai del tutto guarite, generano amarezze insanabili, vuoti sanguinanti. Solo aperte e offerte possono trasformarsi in dono per gli altri. La fame insaziabile di amore è divenuta in Maria Teresa nutrimento cristiano per tantissimi altri. L’ha testimoniato anche nella sua lunga e dolorosa malattia, di cui parlò pochissimo, minimizzandola. Lodando chi la curava, quasi stupita di ogni aiuto. Ha voluto sparire nel silenzio, nel riserbo, sempre ringraziando e ritenendosi “una principessa” per le cure e le attenzioni che riceveva. Ha vissuto fino all’ultimo ciò che aveva condiviso con Annalena e testimoniato come eredità di lei: «È questa la rivoluzione che dobbiamo imparare a fare anche nelle nostre vite, nei calvari quotidiani delle nostre vite anonime e senza storia, quella che si affida alla certezza che il regno di Dio comincia qui, grazie a noi […] È la rivoluzione della speranza, pagata a caro prezzo, al prezzo di non patire scandalo davanti al male, di non dubitare della presenza assente di Dio. La speranza, per cui si riesce a scorgere luce nel buio, grazia nel peccato, il bene nel male, la risurrezione dalla morte».

di Emanuela Ghini

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