UN VIAGGIO IN BRASILE
la speranza evangelica nella terra dei poveri
Tante esperienze importanti. Tante lezioni ricevute da tutto e da tutti.
Non so quale di esse inciderà più profondamente dentro di me, perché quella della sedimentazione è lavoro di tempi lunghi e le rielaborazioni dell’anima sono qualcosa di misterioso.
A caldo mi sembra che le esperienze più forti siano state quelle di Marituba, il lebbrosario in cui Monsignor Pirovano, già vescovo e Superiore Generale del Pime,conduce la sua vita di apostolo dei lebbrosi e progetta la costruzione di un immenso padiglione intestato a Marcello Candia, fornito di ambulatori, gabinetti di analisi, strumenti di ricerca delle cause e terapia della lebbra, questa malattia dei poveri che avanza per l’irresponsabile provvedimento di chiusura del lebbrosari.
Le sue Messe, le più belle e struggenti che abbia mai visto celebrare. L’incontro con Adalucio, il lebbroso a cui il papa ha baciato i moncherini:63 anni di malattia, un volto divorato e sereno. “A Dio non si chiede. Dio si ama, si ringrazia. Luisa”
Cammino di fede nella consapevolezza che Cristo è il grande compagno di viaggio.
E poi , la conoscenza diretta del problema dei “Senza terra” a Porto Alegre durante i giorni di uno sciopero, respinti dai latifondi incolti, impegnati in azioni non violente di denuncia e protesta; quella degli operai ammassati nelle favelas, fra i rifiuti delle megalopoli, schiacciati dai grattacieli lungo i quali si arrampicano i loro poveri sogni, quelli dei braccianti del caffè, del cotone, del cacao della canna da zucchero, mondo abbandonato non solo nel nord-est, ma in tutto il Brasile.
La difficile vita di quella parte di chiesa che ha assunto un impegno, nel senso liberatorio del Vangelo, che appoggia i gruppi dispersi dei contadini, dei braccanti, degli emarginati, per coagularli contro ogni forma di sfruttamento e di dittatura, per farne un popolo evangelizzato che sia soggetto del proprio comportamento, nella consapevolezza che Cristo si incarna in tutte le culture.
E ancora , attraverso le testimonianze dei missionari allontanati dall’area amazzonica, il dramma degli indios, ultimi campioni di una umanità genuina, insidiati e cacciati dai fazenderos che vogliono abbattere la foresta, paralizzati dalla volontà dei politici che mirano a tenerli analfabeti e sottomessi, per meglio dominarli e strumentalizzarli, perseguitati dagli allevatori di bestiame che invadono la loro capanna, il loro orto rendendoli dipendenti dal bianco in tutto e poveri di tutto.
E poi l’incontro a Sanclerlanda (Goias) con padre Cazzuti, il sacerdote d Carpi, difensore dei poveri, colpito a tradimento, mentre si apprestava a celebrare la Messa davanti a cinquecento fedeli. Due fosse sulla fronte; il nervo ottico spezzato, la cecità perenne. “Io credo che l’inferno non sia il fuoco, ma il buio!”. “Perché è tornato ? “Per un punto d’onore, perché la gente veda che la chiesa è al suo posto, nell’ora dell’applauso e in quella delle prove più dure”
La confessione comunitaria in una chiesa gremita, tesa, attenta. Il suo esame di coscienza analitico, scavato, severo, in cui tutti ci siamo ritrovati con colpe e omissioni antiche e recenti, costretti a un vaglio personale, rigoroso che svolgendosi nel profondo, non conosceva attenuanti.. Le “Micro di Mani Tese: terre assegnate, vacche, trattori, bacini di pesca e quella di Nova Faenza, la missione in cui mi sono fermata diciotto giorni. Bahia: 500 ettari di terra, mezzi meccanici, pompe sul fiume, sistema di irrigazione, allevamenti, aiuto programmato alla vita di venti famiglie,un missionario che si spende e le difficoltà quotidiane di una comunità che stenta a nascere per la naturale diffidenza di chi è stato sempre sfruttato e dietro ogni aiuto disinteressato sospetta un inganno. E Assis, la cittadina dello stato di San Paolo, in cui , nella modestia più grande di mezzi economici, si apre òa più straordinaria casa di accoglienza che mi sia stato dato di conoscere.
Cinquanta samaritani di tutte le religioni, a servizio degli ultimi. L’accoglienza, il ricovero, le cure, le vesti lavate e rammendate, il sonno in letti ordinati, il cibo abbondante,il patio ombroso, l’orticello da coltivare per chi si ferma più a lungo. E sulle pareti della stanza del riposo diurno, grafito, il lamento dei barboni di tutto il mondo: “Sono un passero che vola, ma non conosce la propria meta”
Pellegrini senza storia, passati nella mia storia personale a consegnarmi brandelli d’anima cui forse è è legata la mia salvezza.
Oggi, per me, il Brasile immenso, verde, bellissimo è soltanto questo paesaggio Umano
Pina